Tentazione di Siracusa, "Tentación de Siracusa", es el título que eligió Jacques Derrida (1930-2004) para la breve, aunque magistral, conferencia que pronunció el 18 de enero de 2001 en Ortigia, en el Palacio del Senado siracusano. Allí fue convocado por las autoridades del Collegio Siciliano di Filosofía y por el entonces intendente de la comuna sícula, Giambattista Bufardeci, quien le otorgó en tal ocasión la ciudadanía honoraria de esa antigua y culturalmente variada urbe mediterránea, una ciudad atravesada milenariamente por la (...) tensión entre filosofía y política, que vio partir por mar, reducido a esclavo, a Platón, y que se manchó con la sangre de Arquímedes, derramada por un soldado romano invasor. La lectio derridiana, que propone sin ambages una nueva figura para la relación entre filosofía y política, abordando el fenómeno de la "mundialización" así como la pregunta por el sentido contemporáneo de la ciudadanía, debió esperar casi dos décadas para ver la luz. Recién en 2018 la editorial Mimesis, sello italiano de incuestionable prestigio, la hizo accesible dentro de su colección "eterotopie", dirigida por los profesores Salvo Vaccaro (Università degli Studi di Palermo) y Pierre Dalla Vigna (Università dell'Insubria). El texto fue traducido íntegro para su publicación por Francesco Garritano y Marina Machì (ambos de la Università della Calabria), quienes ofrecieron, como adelanto de su versión, un breve fragmento por primera vez en la edición del 21 de enero de 2001 del periódico italiano Repubblica, bajo el título Il tiranno e il filosofo). (shrink)

Quando ho cominciato a leggere qualche articolo e a riflettere sul tema dell’etica in psicoanalisi, ho capito che mi ero infilato in un ginepraio. Da un lato potevo proporvi una sorta di manuale normativo su quello che si deve e non si deve fare nel corso di una psicoterapia: del resto, la maggior parte degli articoli che ho letto sono di questo genere. Però, anche trascurando il fatto che ogni teoria psicodinamica si differenzia dalle altre per lo meno nei dettagli (...) del setting, da queste letture io ne ho ricavato poco, e ho pensato che sarebbe stato così anche per voi. E’ difficile capire in che cosa i manuali normativi si differenziano dalla semplice prescrizione di buon senso e di onestà intellettuale. E soprattutto quando questi ingredienti mancano non credo possano essere recuperati con la lettura di un articolo. (shrink)

Un frammento clinico -/- Lo chiamerò Carlo; ha cinquant’anni, una laurea e buona proprietà di linguaggio; è single, elegante, intelligente, seduttivo, eroinomane. Siamo alla sesta o settima seduta, e non ho ottenuto altro da lui che risposte letterali, e piuttosto banali, alle mie domande; lunghe descrizioni dei suoi molteplici disturbi fisici e altrettanto lunghi silenzi. Eppure di cose da dire ce ne sarebbero parecchie. E’ un brillante dirigente in una industria ingegneristica, ma recentemente lo ha investito un uragano. La sua (...) tossicodipendenza è stata casualmente scoperta sul lavoro ed è stato licenziato in tronco. Nell’arco di pochi mesi ha dovuto vendere il proprio appartamento; benché avesse un ottimo stipendio, Carlo ha infatti accumulato vari debiti, perché l’eroina e le prostitute costano cari. La sua lunga serie di fidanzate, rimpiazzabili al massimo dopo un paio di mesi, si è così rapidamente dileguata. E’ infine tornato a vivere dalla madre e passa il giorno a letto, angosciato da attacchi di panico e somatizzazioni di ogni tipo, tra le quali primeggia l’impotenza. (shrink)

Deleuze. An Anti-Phenomenology?Deleuze played Bergson off against Merleau-Ponty, but for what reasons? What is the meaning of this anachronistic return to Bergson, against the grain of phenomenological history? There was, in Deleuze, an underground debate with phenomenology, a debate that never became explicit, but that took place on common grounds which, for him, were a question of re-appropriation: the transcendental, time, and art. On all of these subjects, Deleuze invoked Bergson’s authority against phenomenology, as if Bergson allowed us to measure (...) anew this real field, independently from consciousness, in its quadruple dimension: immanent, ontological, cosmological, and temporal. Art and flesh will be the ultimate figures of this struggle where finitude and infinitude confront one another, and where inverted possible worlds draw themselves: a world that mirrors man and a world in which “man is absent.”Deleuze, un’anti-fenomenologia?Deleuze ha ‘giocato’ Bergson contro Merleau-Ponty. Ma per quali ragioni? Qual è il senso di questo ‘inattuale’ ritorno a Bergson, contro il ‘vento della storia’ della fenomenologia? C’è stato in Deleuze un dibattito sotterraneo con la fenomenologia, un dibattito che non è mai stato veramente esplicito, ma che si è svolto su territori communi che si trattava, per lui, di tornare a far propri: il trascendentale, il tempo, l’arte. Su ciascuno di questi temi, Deleuze ha invocato la tutela di Bergson contro la fenomenologia, come se Bergson permettesse di percorrere di nuovo questo campo reale, indipendentemente dalla coscienza, nella sua quadruplice dimensione: immanente, ontologica, cosmologica, temporale. L’arte e la carne saranno le ultime figure di questa lotta in cui s’affrontano la finitudine e l’infinitudine, e in cui si delineano mondi possibili di segno rovesciato: un mondo che si ripecchia nell’uomo e un mondo «in assenza dell’uomo». (shrink)

Nel tentativo di superare l’alessandrinismo, una parte della cultura borghese occidentale ha prodotto qualcosa di mai visto prima d’ora: la cultura dell’avanguardia. Essa è stata resa possibile da una superiore consapevolezza della storia, e più precisamente dalla comparsa di un nuovo genere di critica della società, la critica storica. Clement Greenberg, Avant Garde and Kitsch Le avanguardie appartengono al passato. Con il rischio di un paradosso che vorrei annotare all’inizio di queste rifl...

Pierre Bourdieu si è misurato a lungo con la definizione del “quadro concettuale” della “teoria della società”, a partire dalla riflessione sul rapporto non chiarito fra la “teoria dell’azione” e la “teoria strutturalista”, ossia dalla questione preliminare di come le due principali strategie concettuali attraverso cui si sono orientate le scienze sociali si possano integrare in un “modello unitario”. La “prospettiva relazionale” indaga la genesi, lo sviluppo e la crisi tanto delle strutture sociali quanto delle rappresentazioni, dei (...) comportamenti e dei vissuti soggettivi che si manifestano all’interno di tali strutture, focalizzando l’analisi sui sistemi di relazioni tra oggetti ed eventi piuttosto che sui singoli fenomeni. Bourdieu tenta di superare il tradizionale antagonismo tra la “fisica oggettivista” dello strutturalismo e il “soggettivismo costruttivista” della fenomenologia e della teoria dell’azione, mettendo in relazione la riproduzione-distribuzione delle risorse materiali (“oggettività di primo ordine”) e degli schemi mentali e corporei tramite cui sono interpretate, valutate e vissute le situazioni e si rinnova simbolicamente la società (“oggettività di secondo ordine”). Come vedremo, i concetti di capitale e di habitus a disposizione dei soggetti individuali e collettivi all’interno dello spazio sociale e dei campi specifici caratterizzano tale indagine. (shrink)

_Riassunto_: Questo lavoro intende offrire una prospettiva sulla filosofia della mente implicita nell’opera di Pierre Bourdieu. Propongo di organizzare e analizzare le questioni psicologiche che si dipanano nella teoria della pratica di Bourdieu su due diversi piani descrittivi della sfera del mentale: quello ontologico e quello architettonico. Nella prima parte del lavoro chiarirò il concetto di habitus sulla base della sua costituzione schematica. Poi, definito l’habitus come “super-schema psicosociale”, esplorerò il suo funzionamento incarnato alla luce della teoria cognitiva della (...) metafora. Nella seconda parte del lavoro, intendo chiarire l’architettura del mentale che emerge dalla relazione che Bourdieu teorizza tra conoscenza pratica e conoscenza riflessiva. Qui, vorrei prima sottolineare come Bourdieu faccia uso di un’architettura duale della mente, segnata da una particolare doppia-opacità riflessiva, per sostenere poi che le affermazioni metacognitive di Bourdieu ben si adattano agli approcci contemporanei della parità sé-altro della conoscenza di sé. Infine sosterrò come il funzionamento inconscio dell’habitus sia coerente con una visione cognitiva dell’inconscio. _Parole chiave_: La filosofia della mente di Bourdieu; Habitus; Schema; Dualità della mente; Parità Sé-Altro; Inconscio cognitivo _The ontology and architecture of the mind in Pierre Bourdieu’s theory of practice_ _Abstract_: This article provides an outline of Bourdieu’s hidden philosophy of mind. I propose to organize and analyse the psychological themes that flow trough Bourdieu’s theory of practice using two different levels of description of the mental, the ontological and architectonic. In the first part of the article, I clarify the concept of habitus on the ground of its schematical constitution. Conceptualising habitus as a “psychosocial super-schema”, I explore its embodied functioning in the light of cognitive metaphor theory. In the second part, I clarify the architecture of the mental as it emerges from the relationship Bourdieu theorizes between practical and reflexive knowledge. Here, I first stress that Bourdieu employs a dual architecture of mind marked by a peculiar reflexive double-opacity, and then I argue that Bourdieu’s metacognitive claims fit the contemporary self-other parity accounts of self-knowledge. Finally, I claim that the unconscious functioning of habitus is consistent with a cognitivist theory of the unconscious. _Keywords_: Bourdieu’s Philosophy of Mind; Habitus; Schema; Duality of Mind; Self-Other Parity; Cognitive Unconscious. (shrink)

Uno studio filosofico sull’etica è sempre di grande attualità. E in questo «dappertutto vi circola la passione per la verità e per il bene» (dalla Presentazione di Carmelo Vigna). Mai come oggi si parla di salute e di benessere, probabilmente perché si percepisce la mancanza di entrambi. In Occidente è così. L’etica si affaccia alla riflessione umana rivestita con i panni di un’etica filosofica, prima ancora che ulteriormente aggettivata, essendo una terminologia che rimanda, come è risaputo, ad Aristotele. (...) Con «etica» si intende oggi quel confine oltre cui non si può più andare, discutere, transigere, indagare: per questo – e correttamente – si parla rispettivamente di «confini etici», «indole etica » o non, «bioetica», «decisione etica», «comportamento etico» e così via. In qualche modo con «etica» si intende ciò che si impone ancor più della scienza o della decisione democratica. L’«etica» pone in questione il baluardo sollevato proprio da queste ultime due. Sanando la questione. Il modo, talvolta, sfugge, diventando, così, ambito proprio della filosofia e della sua visione interale. Questa è esattamente l’etica filosofica. Questo libro affronta temi di grande importanza e fascinosi, quali il bene, il male, la bontà, la crudeltà, la ragione, il sentimento, il «senso morale», la coscienza, la responsabilità, la Stato e la nazione. (shrink)

Italian Abstract: Per giustificare l’autorità e la validità della scienza economica, gli economisti sono spesso ricorsi all’argomento che le leggi e i postulati di questo sapere sono verità scientifiche, nel senso di verità empiriche, logiche o autoevidenti. Tuttavia, questo discorso, in quanto discorso legittimante o discorso sull 'importanza' della scienza economica, sembra contraddire una siffatta argomentazione giacché non statuisce né verità empiriche né verità logiche, e tanto meno verità autoevidenti. A quale tipo di verità, allora, fa riferimento la predica della (...) scienza economica? Perché la scienza economica, in quanto sapere, viene predicata come una ‘legge’ a cui bisognerebbe obbedire? Esiste un legame storico e teoretico tra la struttura giuridico-politica della legittimità e la predica, la retorica e/o il discorso della scienza economia nella sfera pubblica? In che senso un sapere è un 'istituzione'? -/- In questo articolo esamino il ‘caso Einaudi’ come exemplum dei discorsi sulla scienza economica fatti dagli economisti nella sfera pubblica. Analizzando la predicazione e la riflessione epistemologica di Einaudi e confrontandola con quella di Pareto, Robbins, Weber e Schumpeter, vedremo come sullo sfondo di note dicotomie quali positivo/normativo, fatti/valori, essere/dover essere, analisi/visione, si stagli la contrapposizione epistemologico-antropologica tra Ragione e passioni, spesso assimilata a un’altra perdurante antitesi: Ragione e fede. Muovendo dalla prospettiva dell’«antropologia dogmatica» di Pierre Legendre, e attraverso un rovesciamento solo apparentemente paradossale delle categorie giuridiche e teologiche presenti nel discorso einaudiano, cercherò di formulare una nozione di normatività della scienza economica, estendibile anche ad altri saperi, in vista di un superamento della (falsa) contrapposizione tra Ragione e passioni. -/- English Abstract: To legitimate the authority and the validity of the economic science, economists have often claimed that the laws and the postulates of this savoir are scientific truths, in the sense of empirical, logical or self-evident truths. However, this discourse, as a legitimating discourse, or as a discourse on the ‘significance’ of the economic science, seems to contradict such a claim since it does not assert either empirical, logical or self-evident truths. To what type of truth, then, does the preaching of the economic science refer? Why is the economic science, as a savoir, preached as a ‘law’ to which one should obey? Is there an historical and theoretical nexus between the legal-political structure of the legitimacy and the preaching, rhetoric or discourse of the economic science? What does it mean that a savoir is an ‘institution’? -/- In this article I examine the ‘Einaudi case’ as an exemplum of the discourses on the economic science done by economists in the public sphere. Analysing Einaudi’s preaching and epistemological speculation and comparing it with that of Pareto, Robbins, Weber and Schumpeter, I will show how from the background of well known dichotomies – such as positive/normative, fact/values, to be/ought to be, analysis/vision – the epistemological-anthropological opposition between Reason and passions emerges. This opposition is often assimilated to another long-lasting antithesis: that between Reason and faith. Moving from the perspective of Pierre Legendre’s «dogmatic anthropology», and by an apparently paradoxical reversal of the juridical and theological concepts of Einaudi’s discourse, I will try to formulate a notion of normativity of economic science, which is also applicable to other sciences, in view of an overcoming of the (false) opposition between Reason and passions. (shrink)

Possediamo un testo parallelo delle prime sei lezioni sul terzo libro, in cui possiamo mettere a con-fronto la dottrina di Pietro con quella di s. Tommaso. Il confronto proposto verte sul tema delle inclinazioni naturali e, segnatamente, sul loro rapporto con il bene e con il diritto naturale. Si presentano in sinossi su tre colonne il testo di Aristotele (nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke utilizzata dai due commentatori), il commento di s. Tommaso ed il commento di Pietro d’Alvernia. (...) Alla fine di ciascuna sezione ho sviluppato alcune considerazioni conclusive di taglio teoretico. L’elemento teoreticamente più interessante introdotto da Pietro è costituito dall’affermazione che l’uomo “è nato per perfezionarsi” quanto al corpo e quanto all’anima ed ha a questo una esplicita in-clinazione naturale: “[Homo] natus est perfici et naturaliter inclinatur ad hoc quod perficiatur”. Qui si riecheggia l’ontologia tommasiana delle inclinazioni naturali e la metafisica del bene che le è sotte-sa. Bonum est quod omnia appetunt, ma le sostanze appetunt quella perfezione a cui sono inclinate in virtù della loro propria forma, cum unumquodque sit id quod est per suam formam. Il bene è dunque ciò che viene richiesto dalla forma dell’ente, per giungere alla piena realizzazione del dinamismo insito nella forma stessa, dinamismo che si placa solo nella piena attualizzazione di sé, ossia nella perfezione dell’ente. Bisogna notare l’attitudine di Pietro ad usare la categoria dell’inclinazione naturale, anche quando il testo aristotelico non la contiene. È necessario indugiare un po’ su questo tema, giacché in esso - a nostro giudizio - è possibile leggere il fondamento dell’etica classica, così spesso frainteso dai moderni. L’uomo è una creatura strutturalmente “indigente”: homo pluribus indiget. Quest’indigenza, per usare la terminologia di Hume contro lo stesso Hume, è un is da cui consegue rigorosamente un ought. L’indigenza è un fatto, è una carenza costatabile empiricamente; ma costatare una carenza significa scoprire nell’essere fattuale il dover essere: lo stato in cui la carenza è tolta. L’uomo, imperfectus et ex parte animae et ex parte corporis, in ragione della sua stessa imperfezione, rimanda all’uomo “perfetto”, come la potenza rimanda all’atto ed anzi è preceduta dall’atto. (shrink)

Carnap's ideal of explication has become a key concept in analytic philosophy and the basis of a method of analysis which may be considered as an alternative to various forms of naturalism, including Quine's conception of a naturalized epistemology. More recently, new light has been shed on this aspect of the classical Carnap-Quine debate by contemporary philosophers. Whereas Michael Friedman articulated a notion of relativized a priori which owes much to Carnap's internal/external distinction, André Carus attempted to restate Carnap's ideal (...) of explication in a way that bridges the gap between conceptual engineering and naturalism. On the other hand, Mark Wilson argued that concepts develop in unpredictable ways and cannot be planned in the way classical analytic philosophy has assumed from Frege and Russell onwards. This book consists of a series of defences as well as critiques of Carnap's programme, setting it in its historical context, discussing specific cases of explications, and enriching the on-going debate on conceptual engineering and naturalism in analytic philosophy.Carnap's ideal of explication has become a key concept in analytic philosophy and the basis of a method of analysis which may be considered as an alternative to various forms of naturalism, including Quine's conception of a naturalized epistemology. More recently, new light has been shed on this aspect of the classical Carnap-Quine debate by contemporary philosophers. Whereas Michael Friedman articulated a notion of relativized a priori which owes much to Carnap's internal/external distinction, André Carus attempted to restate Carnap's ideal of explication in a way that bridges the gap between conceptual engineering and naturalism. On the other hand, Mark Wilson argued that concepts develop in unpredictable ways and cannot be planned in the way classical analytic philosophy has assumed from Frege and Russell onwards. This book consists of a series of defences as well as critiques of Carnap's programme, setting it in its historical context, discussing specific cases of explications, and enriching the on-going debate on conceptual engineering and naturalism in analytic philosophy. (shrink)

" Faire d'Aristote un Aufklârer serait méconnaître ce qu'il y a en lui de religiosité authentique, cette intuition de la transcendance et du chorismos, qui sont la raison profonde de sa prudence spéculative. Faire d'Aristote un tragique serait méconnaître cette confiance en l'homme, en sa recherche et en son action, qui tranche sur les lamentations du chœur de la tragédie et sur une certaine résignation socratique et, avant la lettre, stoïcienne. Mais Aristote exalte l'homme sans le diviniser ; il en (...) fait le centre de son éthique, mais il sait que l'éthique n'est pas ce qu'il y a de plus haut, que Dieu est au-delà des catégories éthiques, ou plutôt que l'éthique se constitue dans la distance qui sépare l'homme de Dieu. Livré à ses seules forces par un Dieu trop lointain, qui est suffisamment visible pour être désiré, mais se tient trop à distance pour être possédé, l'homme est en butte, dans la région du monde qu'il habite, à un hasard qu'il ne peut entièrement dominer. Ou plutôt la vie de l'homme se meut entre deux hasards : le Hasard fondamental de la naissance, qui fait que la bonne nature n'est pas également partagée ; le hasard résiduel de l'action, qui fait que les résultats ne sont jamais tout à fait prévisibles. Mais le hasard de la naissance est le hasard résiduel de l'action divine, et la grandeur de l'homme consiste, en prolongeant par la prudence l'action d'une Providence défaillante, à reculer le plus possible les limites de l'imprévisible et de l'inhumain. " Pierre Aubenque. (shrink)

Phronesis is essential for good decision‐making and actions. This literature review shows how phronesis has been discussed and related to elements of the field of administration and organizations. A search in the database systems Scopus, EBSCO, Web of Science, and Scielo, based on eligibility criteria, resulted in 43 theoretical and 14 empirical works. The analysis of these studies showed the most significant empirical contributions, the most cited authors, methods, journals, and central themes addressed in studies on phronesis to understand ethics (...) in business. From a virtue ethics perspective, we discuss the major theoretical and empirical contributions, as well as the implications of a restricted understanding of phronesis when it is treated apart from other elements of the virtue ethics framework. We present a synthesis of the concepts of phronesis, based on dimensions of magnitude and amplitude of the conceptions, ranging from formal to substantive phronesis, and covering individual, organizational, or societal levels of analysis. We argue that a substantive conception of phronesis within virtue ethics may improve our understanding of ethics because it assumes the interdependence of phronesis and moral virtues, integral anthropology, and the common good. We present a future research agenda, considering the study's limitations and findings. (shrink)

L’articolo è l’estratto di un più ampio lavoro ancora in corso. Come Michel Foucault e Pierre Hadot, ognuno dalla propria postazione storico-teorica, ci hanno ricordato, la filosofia antica, ed in particolare quella ellenistica con i cinici e gli stoici, non era solo un discorso ma una concreta pratica di vita, un comportamento esistenziale proposto come modello per tutti coloro che intendevano raggiungere l’arete. Il testimone di questa “arte della vita” −è la tesi di fondo di questo contributo− non (...) è stato però storicamente raccolto dalla filosofia moderna −impersonale, tecnicistica, professionalizzata− ma dall’ètimo stesso delle correnti più significative delle arti moderno-contemporanee, impegnate non a produrre l’“opera d’arte” nel senso classico-tradizonale del termine, ma a proporre pratiche e modelli di vita creativi. L’esempio che qui abbiamo trascelto riguarda la pedagogia teatrale del famoso regista polacco Jerzy Grotowski. (shrink)

Sul piano terminologico, ontologico, percettivo, fenomenologico, psicologico, storico-musicale, l'articolo discute in successione le categorie interconnesse di suono, oggetto sonoro (anche nell'accezione proposta dalla scuola di Pierre Schaeffer), oggetto uditivo e oggetto musicale, in particolare alla luce degli sviluppi della musica contemporanea postonale. Una differenza fondamentale è rinvenuta tra il livello fisico di esistenza del suono (che ha quattro dimensioni: tempo, frequenza, ampiezza, spazio) e il livello fenomenico di esistenza degli oggetti uditivi (che sono considerati come rappresentazioni mentali, dotate (...) di cinque dimensioni elementari: durata, altezza, intensità, timbro, spazio). Durante il Novecento la musica ha espanso gradualmente i propri confini, arrivando a includere qualsiasi tipo di oggetto sonoro (quindi il rumore, nonché tutti i suoni dell'intera realtà extra-artistica). Inoltre certi stili musicali (ad esempio il minimalismo, la drone music, lo spettralismo) hanno valorizzato quello che si può definire “oggetto musicale minimo”: la più piccola differenza percettivamente saliente in una qualsiasi delle cinque dimensioni. Ciò comporta che un oggetto musicale può essere qualcosa di più piccolo di un suono definito nelle sue quattro dimensioni. Una riflessione speciale è dedicata alla categoria di timbro, che diventa il campo di elaborazione principale per i compositori delle tendenze postonali; poi alla categoria di durata, che non coincide con quella di tempo e in musica è fatta oggetto di un’elaborazione specifica. (shrink)

Jean-Luc Nancy discusses his life's work with Pierre-Philippe Jandin. As Nancy looks back on his philosophical texts, he thinks anew about democracy, community, jouissance, love, Christianity, and the arts.

In mass democracies, voting—in elections or referendums—is the main way in which most citizens can publicly express their political preferences. And yet this means of expression is sometimes perceived by them as highly frustrating, partly because it does not allow for much expression. Dominant voting methods lead to a reduction of options, pressure citizens to vote tactically at the cost of expressing their genuine preferences, and fail to convey what they really think about different candidates, parties, or options. Yet citizens (...) do not merely have a right to vote; they have a more fundamental right to political expression from which one can derive a right to a voting method that offers the most opportunities for expression among those satisfying other important requirements. The aim of this article is therefore to add this consideration about the importance of political expression to debates about voting methods that have mainly been conducted from the perspective of social choice theory. To illustrate what is at stake, it introduces evaluative voting methods (allowing voters to grade all of the candidates, parties, or options) as a promising way of honoring the right to political expression without jeopardizing other important properties of voting methods. (shrink)

Tout au long de sa vie et dès sa naissance, chaque personne doit attribuer du sens à tour ce qui l’entoure : objets, individus, paysages … Cette construction d’une signification corresponde à un décodage de l’environnement humaine et matériel qui repose notamment sur la mise en jeu du corps et sur ses manifestations motrices. À ce titre, les jeux et les sports représentent un domaine privilégié ou cette mobilisation des conduites motrices est au centre de la construction d’un sens et (...) de la décision du pratiquent. Ce décodage subjectif s’appuie sur les sonnées objectives de la logique interne de chaque activité ludosportive et des universaux correspondants. Inspiré par les avances de la linguistique et de la sémiologie, mais tout en soulignant ses mécanismes spécifiques, l’analyse sémiotrice explore les codages originaux des interactions ludosportives. Des sèmes particulaires, tels les gestèmes, praxèmes et els écosèmes sont identifiés. On note que les encodages et les décodages praxiques son plus ou moins rigoureux et ne possèdent jamais la double articulation qui caractérise toute langue. L’approfondissement de cette sémiotricité éclaire d’une nouveau jour les conduites de chaque acteur social, non seulement au cours des activités physiques mais aussi tout au long de sa vie. (shrink)

In this paper, we contend that there are two ways of arguing, namely sincere and insincere arguing. We draw such a distinction, based on the felicity conditions of the complex speech act of arguing as modelled in van Eemeren and Grootendorst’s pragma-dialectical approach. We introduce a conversa-tional setting, which contains a speech act of arguing that does not count as in-sincere arguing, while being a sui gene-ris form of sincere arguing. We desig-nate it as “cooperative inquiry”. Finally, we show that (...) argument evaluation plays a key role in determining whether an in-stance of arguing counts as either argu-ing sincerely or insincerely. Résumé: Dans cet article, nous affir-mons qu’il existe deux manières d’argu-menter, à savoir l’argumentation sincère et l’argumentation non sincère. Nous établissons une telle distinction, basée sur les conditions de félicité de l’acte de parole complexe consistant à argu-menter, tel que modélisé dans l’ap-proche pragma-dialectique de van Eemeren et Grootendorst. Nous intro-duisons un cadre conversationnel, qui contient un acte de parole d'argumenta-tion qui n'est pas considéré comme une argumentation non sincère, tout en étant une forme sui generis d'argumentation sincère. Nous la désignons comme « enquête coopérative ». Enfin, nous montrons que l’évaluation des argu-ments joue un rôle clé pour déterminer si un cas d’argumentation compte comme une argumentation sincère ou non. (shrink)

Many papers have been devoted to the semantic turn Carnap took in the late 1930s after Tarski had explained to him his method for defining truth and his work on the establishment of scientific semantics. Commentators have often argued that the major turn in Carnap’s approach to languages had already been taken in the Logical Syntax of Language, but they have usually assumed that Carnap was happy to subsequently follow Tarski and adopt Tarskian semantics. In this paper, it is argued (...) that this assumption needs to be qualified and that Carnap was actually far from following Tarski when he decided to complement his syntactic method with a semantic one. Carnap and Tarski had different goals, divergent programs, and dissenting views on truth and semantics. After exploring several possible methods for the explication of logical concepts such as L-truth and L-implication, Carnap opted for definitions based on concepts he had found in Wittgenstein’s Tractatus and Waismann’s work on a logical interpretation of probability. Carnap’s reasons for taking a semantic turn are to be understood in the context of his principle of tolerance. He first hoped he could use Tarski’s technique to recover in the semantic setting the completeness result he had tried to establish in the Logical Syntax. His eventual adoption of non-Tarskian semantics can be accounted for by his program of a logical analysis of science—including empirical science—and his ambition to elaborate a unified logical framework for deductive, inductive, and modal logic, and for explicating analyticity. (shrink)

Cet article commence par examiner trois justifications épistémiques de la démocratie, proposées par José Luis Martí, David Estlund et Hélène Landemore. Tous trois cherchent à montrer en quoi la démocratie possède une tendance à engendrer des décisions correctes, mais font face au risque de légitimer une organisation technocratique du politique, en contradiction avec le principe d’égalité politique. Ils estiment donc que l’argument épistémique ne peut pas suffire à justifier des institutions démocratiques. Cependant, si l’on comprend la valeur «épistémique» d’une décision (...) politique à la fois d’un point de vue factuel et normatif, c’est-à-dire qu’on considère à la fois sa rationalité et son impartialité, une justification épistémique de la démocratie beaucoup plus robuste émerge. C’est cette dernière qui est explorée et défendue dans la seconde partie de cet article. (shrink)

Parmi les nombreuses lettres de Pierre Teilhard, celles envoyées aux Bégouen, près d'une centaine, occupent une place privilégiée. C'est en 1913, avec la rencontre du comte Henri Bégouën, passionné de préhistoire, que commence la relation de Teilhard avec cette famille. Durant la guerre, cette relation s'ouvre à Max, le fils aîné, et, par la suite, à Simone, son épouse. Dans sa correspondance, Teilhard témoigne d'une amitié profonde et fidèle tout particulièrement à l'égard du couple, qu'il compte parmi ses intimes. (...) En toute liberté, il lui fait part du cheminement de sa pensée et de l'état d'avancement de ses écrits, il lui confie ses difficultés avec les autorités religieuses et prend position sur les courants politiques et idéologiques qui secouent la France et le monde. Grâce aux nombreux souvenirs rassemblés par Max et à quelques copies de ses lettres à Teilhard, se perçoit l'influence déterminante du jésuite sur sa vie et sur son activité professionnelle en Afrique. S'y révèle aussi la riche personnalité du couple qui a contribué au rayonnement de la pensée de Teilhard. Dès 1928, Simone reproduit et diffuse les essais envoyés de Chine par Teilhard. Initiative, peu connue jusqu'à présent, qui a facilité l'édition rapide des oeuvres complètes. En postface, quatre spécialistes de l'oeuvre de Teilhard, Jean-Pierre Demoulin, François Fuvé, Henri Madelin et Gustave Martelet, mettent en lumière l'apport de ces lettres à la compréhension de la personnalité et de la vision clu monde du jésuite. De cet ensemble, il ressort clairement que la pensée teilhardienne déborde des cercles scientifiques et peut éclairer les chrétiens soucieux de construire une société plus juste et plus fraternelle. Les éditions Lessius ont aussi publié la Correspondance de Pierre Teilhard avec Lucile Swan (2008) et Teilhard de Chardin prophète d'un Christ toujours plus grand de Gustave Martelet (2005). (shrink)

Political judgments usually combine a normative principle or intuition with an appreciation of empirical facts regarding the achievability of different options and their potential consequences. The interesting question dividing partisans of political idealism and realism is whether these kinds of considerations should be integrated into the normative principles themselves or considered apart. At first sight, if a theorist is concerned with guiding political judgments, non-ideal or realist theorizing can seem more attractive. In this article, however, I argue that ideal theorizing (...) might be considered valuable even by theorists moved by a pragmatic concern because it is less exposed to conservatism. I nonetheless contend that the aim to guide action in the world as it is should not be abandoned. Therefore, I outline a four-step method for proceeding from abstract moral principles to concrete political judgments and apply it to a test case. (shrink)

Journal Name: Cognitive Linguistics Issue: Ahead of print.

This chapter discusses Descartes' answers to two questions still being asked today: Can machines fully imitate the functioning and behavior of living things? Can machines think? Descartes answers the first affirmatively and the second negatively. Descartes' two categorical answers are each rooted in the principle of the substantial distinction between body and soul—that is to say, in a metaphysical argument. In the Discourse on Method he asserts that there are two very certain means of distinguishing true men from anthropoid machines (...) intentionally designed to throw us off the track: the first is that they could never use words, or put together other signs, as we do in order to declare our thoughts to others. The second is that these machines would inevitably fail in other [things], which would reveal that they were acting not through understanding but only through the composition of their organs. Given this fact, the nature of the machinery a man of his time might have in mind is irrelevant in the chapter's discussion, and the modest development of 17th-century mechanization ought not to invalidate the perhaps exaggerated boldness of the positive answer to the first question, any more than it explains or, a fortiori, justifies the negative answer to the second. (shrink)

This paper aims to challenge the idea claimed by Putnam in his Dewey Lectures that internal realism presupposed sense data theory so that it would have been unable to account for the fundamental intuition of common sense realism that perception gives us cognitive access to reality. Rather, I argue that Putnam’s writings from the period of internal realism indicate that it (internal realism) already presupposed a form of direct realism of the kind he puts forth in the Dewey lectures. I (...) support my thesis with a demonstration of the implication of direct realism in the refutation of the brain-in-a-vat hypothesis that occurs in the first chapter of Reason, Truth and History, as well as with various passages from the philosopher’s writings of the time when he defended internal realism. I also argue, contrary to what the philosopher seems to assert in his Dewey Lectures, that his model-theoretic argument against metaphysical realism does not involve sense data theory. After noting the very strong resemblance between the theses of his common sense realism of the 1990s and those of his internal realism of the 1980s, I hypothesize that Putnam pretended to renounce internal realism in order to allow himself to rephrase his original position so as to avoid being misinterpreted as a form of idealism or fact constructivism, as was the case with his initial statement. (shrink)

In this paper, we evaluate the project of resurgence of metaphysics based on the pecularity of the quantum domain, a project that is supported by some contemporary philosophers. Beyond the general arguments against scientific realism that are still applicable here, we show that this project is faced with the three following issues that, we believe, make it unrealizable: (a) the problem raised by the realistic interpretation of the wave function, as a description of a ‘concrete physical fact’ of the independent (...) reality; (b) the lack of any experimental counterpart of the (non-local) hidden variables quantum theories, and, in some cases, their incompatibility with the quantum predictions; and (c) the fact that the key-properties of quantum phenomena, like their non-locality, essentially depend on the observables that are used for their description and cannot then be assigned to any ‘independent’ reality. (shrink)

ABSTRACT The article intends to demonstrate when the carnival chronicle at the beginning of the 20th century in Brazil was a tool for a national cultural project under bourgeois, univocal and European canons, comparing its occurrences with the carnivalization seen in the chronicle “A tragédia do Cordão Estrela de Dois Diamantes” [The Tragedy of the Star with Two Diamonds Carnival Block], by Luís Edmundo.