La cognizione del gusto // The cognition of taste
Abstract
Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 SINTESI Un pregiudizo tramandato per secoli dalla cultura filosofico-scientifica dominante ha avvalorato una gerarchia dei sensi centrata sul primato cognitivo della vista e dell’udito, relegando il gusto al rango di senso ‘minore’, di senso carnale e distante dalla conoscenza. Ma portare qualcosa alla bocca e capirne il sapore è un’attività che per gli animali umani oltrepassa il bisogno fisiologico, configurandosi come un’esperienza multisensoriale ma anche cognitiva, emotiva, culturale, estetica e persino linguistica. Recuperare il valore intellettuale e culturale del gusto vuol dire restituire dignità a una componente importante della nostra conoscenza sensibile, riconoscendo il contributo che ciascun dispositivo sensoriale sa apportare alla conoscenza della realtà con un accento suo proprio, pur entro un’ineliminabile ‘concertazione’ sinestetica. Espressione di un atto ‘estremo’ di conoscenza incarnata, il gusto è dopotutto l’unico senso a esigere l’introduzione di frammenti di mondo dentro di noi, l’unico che ci consente di assimilare totalmente l’oggetto esterno (la cosa gustata) fino a farlo diventare parte di noi. Un’esperienza così esclusiva e intima – in cui sia il soggetto gustante sia l’oggetto gustato risultano trasformati – non può pertanto non suscitare una riflessione sul gusto come intelligenza del corpo e come strumento per meglio comprendere quel complesso intreccio di mente e di corpo, di ragione e di passione, di vincoli biologici e di attrezzature culturali che è l’animale umano. Partendo da queste premesse proveremo a spiegare brevemente cosa vuol dire ‘saper gustare’ e in che senso quest’attività contribuisce a qualificare la nostra umanità