Eracle e iolao. Aspetti della collaborazione tra copisti nell'età dei paleologi

Byzantinische Zeitschrift 96 (2):521-558 (2003)
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Abstract

Sullo scorcio del XIII secolo il patriarca Gregorio di Cipro inviò a Tessalonica un prezioso esemplare di Platone, su cui era riuscito a mettere le mani, perché fosse trascritto. Gregorio commissionò il lavoro a Giovanni Stauracio – figura di letterato anche altrimenti nota – e ad un certo Cabasila, chiamato a collaborare con Stauracio, «come Iolao con Eracle», per la realizzazione di un βιβλίον οὔ τοι ϕαυλον, un «libro non da nulla». Questo passo, scelto tra i molti che si potrebbero addurre, documenta una realtà assai frequente nel mondo bizantino, vale a dire la collaborazione tra più copisti nell'allestimento di un codice. Nel caso in questione l'attività di trascrizione, come testimonia del resto la presenza di una committenza esterna di alto rango, assume la fisionomia di un lavoro vero e proprio, vincolato al pagamento di un compenso. Nonostante ne sia risultato un prodotto αἴσχιστον, «turpissimo» – sappiamo che il libro al suo solo apparire disgustò a tal punto il patriarca che questi avrebbe voluto gettarlo nell'acqua o nel fuoco perché non sopravvivesse a disonorare la propria biblioteca – Cabasila e, almeno in una certa misura, Stauracio dovevano essere scribi di mestiere e le loro, conseguentemente, mani professionali. Ma v'è un dato sul quale occorre riflettere: Stauracio e Cabasila erano solamente in due così come in due, ad esempio, erano gli scribi sicuramente di professione che, alla fine del secolo IX, avevano collaborato alla trascrizione del Vat. gr. 1594 e del Laur. 28.27, splendidi esemplari, specie il primo, della cosiddetta “collezione filosofica”. Di contro, alla trascrizione del codice che meglio di altri testimonia il lavoro e l'attività di studio di Gregorio di Cipro, giacché ne conserva, fra altri scritti, una silloge di testi classici da lui stesso messa insieme – l'Escor. X.I.13 + Φ.I.18 –, hanno preso parte insieme al patriarca almeno altri tre copisti, mentre in sei hanno collaborato con lui all'allestimento del corpus di logica aristotelica tradito dal codice Ambr. M 71 sup. Sembra lecito parlare, dunque, nei casi in cui molteplici siano le mani impegnate a trascrivere un codice, dell'attività più o meno organizzata di un gruppo di copisti, dietro i quali talvolta è possibile individuare “leading figures of scholarship”. Dal momento che gli esemplari usciti da questi ambienti non presentano un carattere univoco – si va da libri di pregio forse scritti su commissione a libri di studio, fino agli “Hausbücher” di cui parla Herbert Hunger – e che i modi stessi della collaborazione tra copisti si rivelano assai variegati, diverse e spesso contrastanti sono state le interpretazioni date del fenomeno.

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