Abstract
Se leggiamo tra le righe del suo lavoro, possiamo scoprire che Varzi prende
i mostri molto sul serio. Troviamo, per esempio, mostri mereologici frutto
della composizione non ristretta, come l’entità costituita dalla metà sinistra
di questa mela e dal bracciolo di quella poltrona.10 Oppure mostri topologici
dai quali una teoria mereotopologica delle nicche deve rifuggire, come le
curve riempispazio di Peano e Hilbert.11 O, ancora, mostri ontologici come
l’antimateria;12 le entità “inesistenti” che, come si sa, non possono esistere,
dato che non ci sono cose che non esistono; e le entità “negative”: buchi,
mancanze e omissioni, conferenze non date.13
In questo contributo, seguendo il suggerimento di Varzi, parlerò, appunto,
di mostri, prendendo l’avvio da alcune creature che popolano il regno
della finzione, per poi passare a trattare dei mostri che popolano il nostro mondo. Essendo poco lo spazio e molti i mostri, procederò dapprima proponendone
una tassonomia – punto di partenza per ogni generalizzazione che
si rispetti – e in seguito cercando di illustrare perché i mostri vadano presi
sul serio in metafisica. È d’obbligo precisare che si tratterà di una tassonomia
parziale e provvisoria, ma lo è altrettanto ricordare che le tassonomie,
quelle biologiche in particolare, lo sono sempre, per due ragioni. In parte,
perché la vita è in costante evoluzione, in parte perché le nostre conoscenze
e decisioni condizionano la struttura e i contenuti dei nostri sistemi di categorie:
basti pensare che la prima edizione del Systema naturae di Linneo
contava undici pagine, mentre la tredicesima ben tremila, ripartite in sei
volumi.
Quando un tassonomo scopre un organismo che ritiene – dopo accurati
esami comparativi – essere appartenente a una specie fino ad allora sconosciuta,
ne deposita nella letteratura scientifica, insieme al nome binomiale
(cioè il nome specifico, composto dall’indicazione del genere e della specie,
come Homo sapiens), una descrizione in termini di caratteri fenetici. Quel
token è chiamato tipo nomenclaturale, o esemplare-tipo, ed è il portatore del
nome della specie di cui viene considerato tipo.
Sulla falsariga della procedura appena descritta, riporterò la descrizione di
alcuni tipi nomenclaturali per una tassonomia mostruosa che si baserà su tre
criteri principali: (1) l’origine, (2) la costituzione genetica, (3) l’aspetto
fenotipico. Prima di procedere, vorrei però sottolineare tre rispetti sotto i
quali classificare mostri mitologici differisce dal classificare individui
“ordinari”. Innanzitutto, nel caso dei mostri mitologici non è possibile, a
causa del frequente intervento divino, ricorrere al criterio dell’interfecondità
per stabilire se due mostri appartengono alla medesima specie. Ma d’altro
canto, tale criterio, benché sia abbastanza affidabile per gli animali, non lo è
affatto, per ragioni diverse dai mostri, per molte piante, alghe e funghi.
Un’altra peculiarità da segnalare – di cui però non avremo modo di occuparci
oltre – è che le entità mitologiche sono frequentemente soggette a
trasformazioni sostanziali, mentre la nostra biologia sembra, aristotelicamente,
escluderne la possibilità: una tigre non può trasformarsi in un canguro,
pena la sua uscita dall’esistenza. Meno paradossalmente, una larva di
mosca e la mosca adulta saranno considerate appartenenti alla medesima
sorta – la mosca, appunto – benché dall’una all’altra non vi sia praticamente
alcuna continuità materiale (nella metamorfosi la larva viene distrutta quasi
completamente e l’adulto si genera a partire da pochi aggregati cellulari
indifferenziati). Infine, nel caso dei mostri mitologici, parlerò più genericamente
di “gruppo tassonomico” anziché di “specie” (e dunque il nome dei
tipi nomenclaturali non sarà un nome binomiale) dal momento che, come diverrà chiaro nel corso della lettura, è proprio il concetto di “specie” come diverrà chiaro nel corso della lettura, è proprio il concetto di “specie” come
articolazione naturale non oltrepassabile che i mostri che andiamo a classificare
ci chiedono di mettere in discussione.