Tracing homologies in an ever-changing world

Rivista di Estetica 62:40-55 (2016)
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Abstract

A un secolo e mezzo dalla pubblicazione dell'Origine delle specie, la nozione di omologia di Owen, che implica che due organi o due funzioni a confronto possono essere riconosciuti come “la stessa cosa” continua a dominare gli attuali approcci al problema dell’omologia. L'idea che i caratteri possano “rimanere se stessi” attraverso un numero indefinito (anche se finito) di stati alternativi che si susseguono nel corso dell'evoluzione è probabilmente basato su un'interpretazione idealistica di come gli organismi si evolvono. Se si dà per scontata l'esistenza di caratteristiche del corpo che conservano la loro identità nel cambiamento, l'esistenza di omologhi può essere spiegata (i) in termini di leggi universali della forma, magari nella forma moderna dello strutturalismo di processo, o (ii) come il prodotto di discendenza comune, o (iii) in termini di cause prossime responsabili della comparsa di moduli di sviluppo conservati. Tuttavia, leggendo la storia della vita attraverso la lente dell’evoluzione, appare molto problematico descrivere un organismo come una somma di caratteri che, una volta apparsi come novità evolutive, rimangono poi come unità costruttive essenzialmente immutabili tra le quali possiamo predicare (o negare) omologia. Tutti i tratti sono meglio interpretati come incroci complessi e mutevoli di un numero indeterminato di elementi e dei processi che li modellano nel corso dell’ontogenesi e della filogenesi. Di conseguenza, appare raccomandabile un approccio fattoriale, o combinatorio, all’omologia.

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