Emanuele Severino e la fede cristiana come dubbio

Giornale di Metafisica 1 (1):154-169 (2015)
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Abstract

In un saggio intitolato La fede e il dubbio. L’inesistenza e la violenza della fede, Emanuele Severino giudica incoerente la dottrina cattolica – come pure la prospettiva di Tommaso d’Aquino cui essa risale – stando alla quale la fede risulta certa nonostante le verità che in essa si credono manchino di evidenza. La fede sarebbe non solo inesistente (una fede certa, come quella proclamata dai Vangeli e sostenuta da Tommaso, semplicemente non può esistere) ma anche violenta (l’incoerenza che la contraddistingue vìola la natura della conoscenza razionale). La tesi di Severino è stata già discussa e criticata da alcuni studiosi ad avviso dei quali la prospettiva che la genera manca di un’adeguata considerazione della natura della fede cristiana, giudicata da Severino unicamente in base al criterio dell’evidenza razionale. In questo saggio si intende approfondire questa posizione critica nei confronti della tesi severiniana. Si puntualizzerà che al centro della dottrina tommasiana della fede si situa l’amore per Dio inteso come fine e senso della fede. Secondo Tommaso infatti non l’evidenza razionale ma la carità – donata da Dio stesso – porta i cristiani ad affidarsi a lui e a credere con fermezza quanto egli ha rivelato. Si preciserà quindi che, nel pensiero dell’Angelico, la realtà di un legame così decisivo non sminuisce la rigorosità dell’esercizio razionale. Al contrario, quanto maggiore è la fiducia riposta in Dio creatore tanto più grande risulta l’apprezzamento delle facoltà razionali da lui create. Per questo, Tommaso spinge la ragione a un’indagine senza limiti, sicuro del fatto che essa, sebbene non possa evidenziare la verità della fede, può tuttavia dimostrarne la coerenza interna e combatterne le obiezioni. Prima di procedere con l’esposizione della critica di Severino alla fede cristiana, una precisazione di carattere metodologico risulta doverosa. Alcuni studiosi hanno rilevato che tale critica dipende essenzialmente dalla prospettiva ontologica severiniana, incentrata, come è noto, sull’assunto parmenideo che l’essere è ed è impossibile che non sia. Tutta la tradizione occidentale, dall’evoluzione tecnologica alle convinzioni morali e alla fede cristiana, sarebbe stata fatalmente minata dal proprio radicamento in quella “follia” che per Severino è rappresentata per l’appunto dall’accettazione della realtà del divenire. Secondo la sintesi offerta ad esempio da Giuseppe Pirola, «pensando l’essere come niente, come ciò che può essere e non essere, anziché come ciò che è ed è impossibile che non sia, tutta la modernità cade nel nichilismo; non solo la tecnologia ma anche la morale e la stessa fede cristiana». Allo stesso modo, Leonardo Messinese sostiene che «l’affermazione rigorosa e concretamente determinata della verità dell’essere si è configurata in Severino comeun’affermazione che estende il suo raggio dal campo dell’ontologia a ogni altro ambito tradizionale della filosofia e, ancora più ampiamente, a ogni ambito della cultura e prassi dell’uomo». Ne consegue che «siamo in presenza di una critica della fede cristiana la quale contiene degli elementi di originalità rispetto alle tradizionali forme di critica della religione operate nel pensiero moderno e contemporaneo». Le considerazioni severiniane che qui si prenderanno in esame –considerazioni strettamente relative alla presunta inconsistenza razionale dell’atto di fede – sono tuttavia pienamente riconducibili al primato dell’evidenza così come esso si configura presso ogni forma di evidenzialismo moderno. Come verrà mostrato nel corso di queste pagine, al cuore della critica che Severino rivolge all’atto della fede cristiana vi è l’attenzione per una caratteristica propria dell’epistemologia della fede che anche altri pensatori, pur partendo da prospettive molto diverse da quella severiniana, ritengono sia il limite dell’esperienza dei cristiani: l’assenza di evidenza tipica delle verità rivelate e il fatto che conseguentemente è la volontà a spingere l’intelletto a dare loro l’assenso (da questo seguirebbe il dubbio e quindi la contraddizione con la pretesa di certezza che la fede cristiana porta con sé). In questa sede si procederà dunque a discutere la posizione di Severino a questo riguardo senza considerarne le assunzioni ontologiche e storico-filosofiche.

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Roberto Di Ceglie
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