Oggetti possibili e oggetti esistenti: la teoria di David K. Lewis
Abstract
Quasi al termine della seconda guerra mondiale, alcuni ufficiali tedeschi diedero l’ordine di abbattere le storiche torri di San Gimignano; tutto pareva ormai deciso, quando un gruppo di civili riuscì con successo a ritardare l’esecuzione fino all’arrivo delle truppe alleate. Grazie a quei civili, le torri di San Gimignano sono ancora ben visibili a tutti, meta ogni anno di numerosi turisti; ma che cosa dire della possibilità che oggi esistessero soltanto le loro macerie? Esse rientrano in quella classe di cose che chiamerò oggetti possibili, ovvero sono oggetti che avrebbero potuto esistere, ma per un qualche motivo non sono esistiti. Proprio di essi parlerò nelle prossime pagine, cercando di capire quale sia il loro statuto ontologico e in quale modo possiamo parlarne usando le espressioni del nostro linguaggio.1 Come vedremo, ci sono varie teorie che spiegano cos’è un oggetto possibile, tra loro anche molto diverse. Compito di ciascuna è quello di motivare e, se necessario, rendere plausibile una scelta filosofica. Quindi, ogni teoria degli oggetti possibili, attribuirà loro un preciso statuto ontologico e provvederà una semantica delle espressioni del linguaggio naturale sulla possibilità. Nelle poche pagine che seguono però, non scenderò nei dettagli di tutte le teorie della possibilità; piuttosto, ne considererò una particolarmente controversa e singolare: quella sostenuta da David K. Lewis.