Edizioni dell'Orso (
2012)
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Abstract
È possibile istituire un nesso tra la presenza di Dio nel mondo, che Buber avrebbe descritto fin dai suoi primi scritti chassidici attraverso la nozione cabalistica di Shekinah, la presenza di Dio nell'uomo e la presenza dell’uomo a se stesso? È possibile riconoscere alla presenza il carattere fondamentale dell’accadere della relazione e, insieme, fondare la religione sull'accadere di quell’originario evento d’incontro, su una risposta al Tu? È possibile che, proprio attraverso l’evento della presenza, del presente dischiuso nell’Augenblick, la religione possa ritornare al suo significato di relazione, di legame vissuto nella pienezza dell’ora terrena? Ultima delle Sefirot a rompersi nella dottrina di I. Luria, la presenza di Dio nel mondo si offre all’uomo capace di riceverla, nell’in-tra-tenersi della relazione, sul fondamento di una passività originaria, in cui l’uomo è chiamato a rispondere con un’azione che proviene dall’interezza del proprio essere. Relazione entro l’essere del singolo uomo, chiamato a compiere in se stesso quell’interezza che ha nome unità; relazione tra il singolo uomo e l’intero cosmo, a partire da ogni singolo “altro” che gli può accadere di incontrare; relazione come incontro, unità, rivelazione, religione e, pertanto, come presenza. Religione come presenza, parimenti nell’urgere dell'eterno nell’istante, nel “qui e ora” della ewige Offenbarung. “In principio è la relazione” - tale è l’intuizione buberiana fondamentale, a partire dalla quale la realtà può raggiungere il proprio compimento come quel dialogo in cui incontrante e incontrato si chiamano tra loro Io e Tu, nel dono reciproco della presenza. Presenza e relazione, sistole e diastole dell’unica vita reale.