Natural inclinations and the Good. Parallel readings of Aristotle's' Politica'by Thomas Aquinas and Peter of Auvergne

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 89 (2-3):299-316 (1997)
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Abstract

Possediamo un testo parallelo delle prime sei lezioni sul terzo libro, in cui possiamo mettere a con-fronto la dottrina di Pietro con quella di s. Tommaso. Il confronto proposto verte sul tema delle inclinazioni naturali e, segnatamente, sul loro rapporto con il bene e con il diritto naturale. Si presentano in sinossi su tre colonne il testo di Aristotele (nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke utilizzata dai due commentatori), il commento di s. Tommaso ed il commento di Pietro d’Alvernia. Alla fine di ciascuna sezione ho sviluppato alcune considerazioni conclusive di taglio teoretico. L’elemento teoreticamente più interessante introdotto da Pietro è costituito dall’affermazione che l’uomo “è nato per perfezionarsi” quanto al corpo e quanto all’anima ed ha a questo una esplicita in-clinazione naturale: “[Homo] natus est perfici et naturaliter inclinatur ad hoc quod perficiatur”. Qui si riecheggia l’ontologia tommasiana delle inclinazioni naturali e la metafisica del bene che le è sotte-sa. Bonum est quod omnia appetunt, ma le sostanze appetunt quella perfezione a cui sono inclinate in virtù della loro propria forma, cum unumquodque sit id quod est per suam formam. Il bene è dunque ciò che viene richiesto dalla forma dell’ente, per giungere alla piena realizzazione del dinamismo insito nella forma stessa, dinamismo che si placa solo nella piena attualizzazione di sé, ossia nella perfezione dell’ente. Bisogna notare l’attitudine di Pietro ad usare la categoria dell’inclinazione naturale, anche quando il testo aristotelico non la contiene. È necessario indugiare un po’ su questo tema, giacché in esso - a nostro giudizio - è possibile leggere il fondamento dell’etica classica, così spesso frainteso dai moderni. L’uomo è una creatura strutturalmente “indigente”: homo pluribus indiget. Quest’indigenza, per usare la terminologia di Hume contro lo stesso Hume, è un is da cui consegue rigorosamente un ought. L’indigenza è un fatto, è una carenza costatabile empiricamente; ma costatare una carenza significa scoprire nell’essere fattuale il dover essere: lo stato in cui la carenza è tolta. L’uomo, imperfectus et ex parte animae et ex parte corporis, in ragione della sua stessa imperfezione, rimanda all’uomo “perfetto”, come la potenza rimanda all’atto ed anzi è preceduta dall’atto.

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Aldo Vendemiati
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