Abstract
Nella nuova Italia gli interpreti e i difensori delle civili libertà (l'espressione è di Romagnosi) furono pochi e poco considerati. Tra essi, gli amici e i seguaci radicali e federalisti di Carlo Cattaneo, ma anche un moderato come Pasquale Villari, il maestro di Gaetano Salvemini. Tutti ebbero in comune la condivisione del pensiero filosofico e politico di John Stuart Mill e il proposito di favorirne la diffusione nella cultura del loro tempo. Mill fu uno degli autori più tradotti nell'Italia dell'Ottocento. Se la sua filosofia ebbe pochissima fortuna, il suo liberalismo attraversò invece tutta la classe politica ed intellettuale italiana: fu come un crocevia di strade diverse per provenienza e destinazione. Ciò vale per Francesco Ferrara e per Vilfredo Pareto, per Marco Minghetti e per Luigi Luzzatti, per i liberisti della Società Adamo Smíth e per i vincolisti del Giornale degli economisti. Il confronto con Mill permette di individuare i caratteri della filosofia civile del liberalismo post-unitario, le sue aspirazioni di buon governo e di giustizia, la sua fiducia nella cultura della modernità. La ricostruzione dei dibattiti e delle polemiche che si susseguirono tra gli anni sessanta e settanta sul decentramento, sulla rappresentanza proporzionale, sul suffragio femminile, sui rapporti fra stato e società civile, sul metodo dell'economia politica, sul socialismo e sull'utilitarismo i temi essenziali del liberalismo milliano aiuta a cogliere il significato storico del complesso rapporto tra liberalismo e positivismo in Italia. Ne viene fuori, come mette in rilievo Norberto Bobbio nella prefazione al volume, il carattere tortuoso e difficile del liberalismo italiano; la sua difficoltà a divenire una base effettiva di riferimento del nuovo stato, dei suoi ceti dirigenti, delle sue elite intellettuali.