Abstract
La città, risultato della storia, della cultura e della civiltà, si presenta a noi, a un primo impatto, come un’esaltazione dell’edificare in un gioco delle forme e dei volumi, o come una glorificazione dell’architettura; in un secondo momento viene percepita anche come un segno delle comunità e dell’appartenenza di cui le forme sono il riflesso. Si profila, a ben ragionare sul suo significato, dall’antichità alla modernità, un composito fare umano, il disegno straordinario dell’azione collettiva e dei singoli, l’effetto di un’arte dello spazio esteso. Esso interagisce con ciò che si chiama l’arte del paesaggio, perché propone elementi della cura, dell’immaginazione e della progettazione, i segni della fantasia e le creazioni della necessità. Allo stesso modo di un’attività dove l’uomo è creatore di coltivazioni, si può dire infatti che esista un’arte della città come prodotto delle comunità e dei singoli, degli architetti e degli artisti, dei progettisti e dei semplici lavoratori, dei cittadini e dei loro rappresentanti politici: risultato di uno sforzo ideale e civile, ma anche di un concreto, sfaccettato manifestarsi delle tecniche nello spazio, modellato anche, volta a volta, da quel certo gruppo sociale o dalle ideologie.