Abstract
Il cosiddetto “paradosso della finzione” nasce dal tentativo di spiegare quale tipo di emozioni proviamo verso quegli oggetti che troviamo nei romanzi e nei film e che sappiamo perfettamente essere fittizi. Si tratta di un paradosso classico, tornato alla ribalta nel 1975 dopo la pubblicazione di un articolo di Colin Radford che partiva precisamente dall’interrogativo riguardante le lacrime che versiamo per ciò che non è reale (come un personaggio fittizio, appunto). Perché ci commuoviamo per il suicidio di Anna Karenina se sappiamo che non esiste? Che differenza c’è tra piangere per Anna Karenina, piangere per una bugia, piangere per la depressione e fare finta di piangere perché si vuol fare credere a chi ci guarda che siamo sinceramente commossi? In Piangere e ridere davvero (2009) Maurizio Ferraris offre un’interessante proposta teorica per dissolvere il paradosso in questione e si sofferma su alcune distinzioni fondamentali riguardanti le nostre reazioni emotive a stimoli reali e fittizi. In questo saggio si prende spunto dalla teoria di Ferraris e ci si propone di chiarire che cosa significhi fare finta di rispondere emotivamente a qualcosa nella vita di tutti i giorni e quale sia la differenza tra queste “finte” emozioni e quelle che invece proviamo durante la fruizione di opere che sappiamo essere di finzione. Saranno scelti come esempi paradigmatici il caso Fenaroli (al centro della cronaca italiana alla fine degli anni Cinquanta), Il vedovo di Dino Risi e Scusate il ritardo di Massimo Troisi.