In this article, I defend a democratic form of the productivist welfare state. I argue that this form of the state can best cope, theoretically and practically, with the diversity of deeply morally pluralistic democratic societies for two reasons. First, the justification of this form of the state rests solely on general facts about human nature, basic human needs, and efficiency considerations in a world of moderately scarce resources. Second, this state does not aim to promote a specific view of (...) justice, but human flourishing more generally, expressed in terms of individual and collective productivity. The proposed democratic productivist welfare state supports its citizens up to the level that allows them to develop and exercise their talents and abilities without providing incentives for free riding. I argue that, under the specific empirical circumstances that I describe, in particular certain informational restrictions concerning the precise productive and destructive capacities of the members of society in practice and the soundness of the Aristotelian principle, this goal may best be achieved in practice by the introduction of an unconditional basic income at subsistence level, if society is sufficiently developed economically to provide such an income. On productivist grounds, such an unconditional subsistence income also addresses, pragmatically and partially, the problem of historical injustices against the weakest members of society and provides all group members with the means for democratic participation. (shrink)

Alasia Nuti’s recent book Injustice and the Reproduction of History: Structural Inequalities, Gender and Redress puts forward a compelling vision of contemporary duties to redress past wrongdoing, grounded in the idea of “historical-structural-injustice”, constituted by the “structural reproduction of an unjust history over time and through changes”. Such an approach promises to transcend the familiar scholarly divide between “backward-looking” and “forward-looking” models, and allow for a reparative approach that focuses specifically on those past wrongs that impact the present, while retaining (...) a significant focus on the historical. While Nuti’s work is perhaps the most sophisticated treatment of structural injustice to date, this paper argues that an exclusive concentration on historical-structural-injustices neglects some aspects and some acts of wrongdoing that call out for present-day redress. What is needed, therefore, is a pluralist theory that can accept the pressing force in the present of historical-structural-injustices, whilst also making room for past-regarding duties that either do not fit, or are not best conceptualized in terms of, this approach, without being overwhelmed by the sheer scale of historic injustice. (shrink)

I processi di transizione post-conflitto pongono questioni prominenti per l’agenda politica globale. Si pensi, per esempio, alla transizione democratica in Sud Africa dopo la fine dell’Apartheid o alla ricostruzione politica dei paesi facenti parte dell’ex-Jugoslavia all’indomani delle guerre dei Balcani. Quali principi normativi dovrebbero informare tali processi? Questa domanda è al cuore del crescente dibattito sulla “giustizia transizionale”. Questo dibattito si è concentrato principalmente sulla rettificazione delle ingiustizie occorse a causa dei torti perpetrati e subiti dalle parti coinvolte. Di conseguenza, (...) la giustizia è stata tipicamente concepita come una proprietà di esiti distributivi di diritti e opportunità. I processi di transizione post-conflitto sono giusti nella misura in cui sono in grado di condurre a tali esiti. Un simile approccio orientato agli esiti è capace di rendere conto di dimensioni morali, animate da preoccupazioni di giustizia e/o pacificazione, che dovrebbero certamente figurare nella caratterizzazione e valutazione normativa dei processi di transizione. Tuttavia, esso rischia di perdere di vista un’altra dimensione egualmente rilevante che riguarda le qualità inerenti ai processi di transizione stessi. Per illuminare questa dimensione, vorrei portare l’attenzione su di una diversa idea di giustizia che riguarda le proprietà inerenti alle interazioni tra persone; la giustizia nelle interazioni. La tesi che sosterrò è che le procedure costitutive dei processi di transizione post-conflitto non dovrebbero essere disegnate con la sola o prioritaria preoccupazione di condurre le parti a un consenso o compromesso su di un accordo capace di rettificare le ingiustizie perpetrate e subite. È anche necessario che questi processi siano strutturati in modo da consentire alle parti di reinterpretare il loro conflitto come un problema condiviso, che richiede l’instaurazione di dinamiche d’interazione cooperative capaci di realizzare forme di trattamento inerentemente giuste delle loro pretese reciproche. (shrink)